L’induismo e la fede che libera

Dal sito dell’Unione Induista Italiana, un articolo dal titolo “L’Induismo e la fede che libera” di Svamini Hamsananda Ghiri.



L’induismo e la fede che libera



L’immagine che spesso si ha della società contemporanea è quella di un’orchestra stonata in cui note dissonanti cozzano l’una con l’altra producendo suoni stridenti.

In questa cacofonia lo Stato dovrebbe emergere come un bravo direttore d’orchestra capace di accordare tra loro i molteplici strumenti che la compongono.

Tra questi, per citarne solo alcuni, vi sono la politica, il lavoro, la cultura, la ricerca, la scuola, la sanità, ma, oltre a questi, non si devono escludere, come invece troppe volte avviene, le Tradizioni religiose con il ventaglio delle loro plurali espressioni.

A tale proposito sono suggestive le parole che il premio nobel Rabindranath Tagore scrive riferendosi alla perdita del contatto “vivificante e purificante con l’infinito” da parte dell’uomo.

“Quando l’uomo è privato della base che gli fornisce tutto, la sua povertà perde la più bella virtù, la semplicità, per diventare squallida e sordida. La sua ricchezza non è più splendente ma stravagante, i suoi desideri non gli servono più nei limiti naturali dei loro scopi, ma diventano fini a se stessi, mettono fuoco nella sua esistenza, danzando follemente alla luce dell’incendio. E allora avviene che nell’esprimerci cerchiamo di sorprendere più che di affascinare; in arte ci affanniamo dietro l’originalità e perdiamo di vista la Verità, vecchia e sempre nuova; in letteratura ci sfugge la visione completa dell’uomo che è semplice ma pur grande; l’uomo ci appare come un problema psicologico soltanto, come l’incarnazione di un’intensa passione così forte perché anormale, esposta alla luce accecante di luci esagerate e artificiali” (Rabindranath Tagore, Guanda 2013).

La storia documenta come spesso lo Stato e gli stessi cittadini abbiano optato per un allontanamento della religione dalla sfera pubblica inaugurando il cosiddetto secolarismo. La religione essendo sempre più di frequente ritenuta una gabbia, una limitazione alla libertà individuale o come vestigia di valori antiquati e anacronistici e talora quasi irrazionali e favolistici.

La civiltà moderna si sforza tenacemente di organizzarsi al fine di rendere gli uomini quanto più perfetti fisicamente e intellettualmente, insegue progressi scientifici e tecnologici che hanno, in parte, contribuito a frantumare il principio comunitario della società stessa, generando un crescente spirito individualistico che separa la categoria “uomo” in una serie di monadi isolate e abbagliate dalla chimera di successi irrinunciabili e orientati sempre più in una direzione materialistica e orizzontale del vivere.

Affermare che vi è una crisi e una perdita di valori e di etica è oramai ritenuto perfino retorico, ma il fatto stesso di considerarlo tale è un segnale assai grave; significa, riflettendovi, annacquare la portata del problema e accettarne passivamente l’inevitabile e catastrofico decorso.

Eppure, in questa apnea prolungata imposta da una società spasmodica, molti individui manifestano l’esigenza di “riprendere aria” e riappropriarsi di una dimensione intima e valoriale profonda. Si assiste a una forte ricerca di senso che, in molti casi, si ritrova nelle religioni.

Si deve evidenziare però, che in questo scenario, accanto a forme sincere di ricerca spirituale, si assiste anche a una diffusa mercificazione della religione stessa. Per quanto riguarda l’induismo, basti pensare allo yoga che, pur essendo a tutti gli effetti una disciplina spirituale, si ritrova commercializzato nei contesti più assurdi!

A ogni modo, le religioni si riaffacciano sulla scena “secolare” e fanno un nuovo ingresso nella sfera pubblica richiamate in campo anche da fattori contingenti legati all’immigrazione di popoli con culture e tradizioni religiose delle più variegate.

Ed è proprio questo incontro di culture diverse che fa sorgere urgenze identitarie nuove, che sono riscoperte, spesso, nella religione come risposta collettiva alla globalizzazione e alla preoccupazione di essere sopraffatti da culture altre.

In quest’ottica la dimensione religiosa si pone come un fattore determinante nei processi di integrazione sociale e di convivenza pacifica in una società plurale.

Ed è in questa società post-secolare in cui le comunità religiose persistono entro un orizzonte sempre più secolarizzato, usando le parole del sociologo tedesco Jürgen Habermas, che lo Stato ha la responsabilità enorme di favorire la vita delle religioni e della loro integrazione reciproca sia per evitare processi di “ghettizzazione” che, come mostrano le drammatiche cronache moderne, non possono che essere fautori di odio e separazione, sia perché le religioni sono per la società un forziere di tesori, foriere di valori, conoscenza, arte, cultura, usi e costumi che impreziosiscono il vivere e la qualità etica e intellettuale dei cittadini.

Crocevia ideale per questo incontro è rappresentato dal luogo di culto ed è per questo che se ne dovrebbe riconoscere maggiormente l’importanza.

Per riportare un esempio concreto di integrazione e incontro, il 10 giugno presso il tempio induista in provincia di Mantova, gli induisti hanno aperto le porte al Sindaco, al prefetto e ai fratelli delle altre fedi: il parroco con i suoi parrocchiani, cristiani protestanti, il rabbino capo e un monaco buddhista; è stato significativo vedere la disponibilità e l’apertura di questi ultimi che, senza alcuna difficoltà, sono entrati scalzi nel tempio, si sono seduti per terra su un tappeto e hanno condiviso un pomeriggio in preghiera e in dialogo, per gettare semi di pace e amicizia. E questo è solo uno dei tanti esempi di quanto si faccia e ancora si possa fare per crescere insieme in armonia, pur rispettando le differenze di ognuno.

In una prospettiva simile si scioglie qualunque conflitto che possa emergere tra Stato e Chiese poiché entrambi mirano al bene comune; il collante che lega insieme queste entità solo apparentemente distinte, è proprio la volontà di costruire una famiglia umana basata su pilastri etici imprescindibili, in cui al primo posto vi deve essere il rispetto e l’amore per l’altro ricordando sempre che la libertà di uno non deve mai essere la prigionia dell’altro.

Lo Stato laico dovrebbe seguire il principio di “equivicinanza” a tutte le Tradizioni religiose, dovrebbe inglobare e non escludere, perché è nella diversità che la Vita si mantiene fino a scoprire quella sostanziale Unità che ci lega tutti.



“Chi limita l’altrui libertà è un carceriere

incatenato agli stessi ceppi.”

Paramahamsa Svami Yogananda Ghiri ji, Satsamga – Insieme nella Verità, Ed. Laksmi 2014.



[Il presente articolo è stato pubblicato sul numero di settembre 2016 di “Quaderni Confronti – mensile di Religioni Politica e Società”]